Armi per 1.200 miliardi di dollari
Usa in testa, rincorsa di Cina e Russia
Il mondo è sempre più imbottito di armi.
Ogni anno i Paesi della Terra spendono oltre 1.200 miliardi di dollari
per mantenere i loro eserciti. La quarta parte di questa cifra, e cioè
300 miliardi di dollari, è investita nell’acquisto di nuovi carri
armati, nuovi aerei sempre più micidiali, nuove diavolerie tecnologiche
con cui gli esseri umani si massacrano. Al crollo dell’impero sovietico
la corsa agli armamenti si fermò. «Gli studi per la produzione di una
nuova generazione di armi—spiega il generale Fabio Mini—furono
abbandonati ». Negli ultimi anni sono ripresi alla grande. A metà
febbraio l’Air Force degli Stati Uniti ha firmato un contratto con la
Boeing per installare sui caccia un raggio laser in grado di annientare
jet nemici. Lavora alla tecnologia laser anche la Northrop Grumman e i
suoi dirigenti ritengono che le armi laser sostituiranno i missili
tattici. «Questo tipo di armi sono già pronte per la battaglia», esulta
Myke Booen, vicepresidente della Raytheon Missile Systems.
Molti progetti sono top secret.
Ma i programmi resi noti sono già sufficientemente impressionanti. Si
parla di armi a microonde, raggi elettromagnetici, armi ad energia
diretta che impiegano alte frequenze in grado di far evaporare i corpi
investiti. La Russia ha sviluppato armi termobariche, un miscuglio di
esplosivi e carburanti realizzato grazie a una manipolazione della
materia a livello atomico. Su impulso di Vladimir Putin, l’industria
della Difesa russa assorbirà quest’anno 40 miliardi di dollari. Ma
siccome Mosca nutre l’ambizione di imporsi di nuovo sullo scacchiere
internazionale, ha preparato un vasto piano da completare entro il 2020
per aerei (fra cui velivoli Stealth, «invisibili»), missili,
sottomarini e armi di nuova generazione. Anche la Cina si è lanciata
nel settore dell’alta tecnologia.
All’inizio di marzo ha annunciato di aver stanziato
per quest’anno 58 miliardi di dollari per spese militari, il 18 per
cento in più rispetto al 2007. «Tuttavia—osserva Giovanni Gasparini,
dell’Iai, Istituto affari internazionali — Russia e Cina non sono in
condizione di competere con gli Stati Uniti, l’unica potenza globale.
La loro tecnologia è indietro di vent’anni, possono giocare solo un
ruolo in ambito regionale ». Difatti l’India, che in passato riempiva
gli arsenali con armamenti di produzione sovietica, si è ritrovata con
mezzi che spesso sono autentici rottami. E ha deciso di
approvvigionarsi sul mercato degli Stati Uniti, dove investirà 45
miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. In più, è pronta a
sborsare 10 miliardi di dollari per l’acquisto di 126 aerei da
combattimento. In un mondo che piange per la crisi economica, il
settore degli armamenti va a gonfie vele. Non solo in America, anche in
Europa. In Italia Finmeccanica, con le sue società satelliti, vanta
floridi bilanci. La ricerca nel campo dei mezzi di distruzione porta
anche benefici. «In passato—dice il generale Mario Arpino,
amministratore delegato di Vitrociset— soluzioni escogitate in campo
militare hanno poi trovato un largo impiego nel settore civile. Oggi
sta avvenendo il contrario: la ricerca civile, soprattutto
nell’elettronica, è sfruttata dai militari».
I più spendaccioni in assoluto rimangono gli Stati Uniti.
Washington dedica il 4,7 per cento del prodotto interno lordo al
settore della Difesa. L’Europa solo l’1,8. Nel 2006 gli Stati Uniti
hanno investito 141 miliardi di euro per gli equipaggiamenti, mentre i
26 Paesi europei messi insieme sono arrivati appena a quota 39 miliardi
di euro. Un divario così alto complica la possibilità di collaborazione
tra occidentali. Se si vuole avere un’idea delle spese che comportano
le Forze armate americane, basta pensare alle portaerei. Washington ne
ha 12, ognuna è come un villaggio di circa 5mila abitanti. L’ultima
arrivata è la Reagan, lunga come tre campi di calcio. Pattugliano tutti
gli oceani, portandosi dietro ognuna una scia di decine di navi di
supporto, un battle group capace di sferrare attacchi su ogni angolo
della Terra.
Con l’uscita di scena di George W. Bush le cose non cambieranno.
Le Forze armate continueranno a ricevere fiumi di dollari se alla Casa
Bianca arriva il repubblicano McCain. Ma anche se diventa presidente un
democratico, perché Hillary Clinton promette di «espandere e
modernizzare il settore militare» e Barack Obama vuole reclutare «65
mila uomini in più per l’esercito e ampliare di 27 mila unità i ranghi
dei marines». Finora i conflitti si sono consumati sulla terra, sui
mari e nei cieli. In un futuro molto prossimo potrebbero investire lo
spazio. Quando il 21 febbraio scorso gli Stati Uniti hanno abbattuto un
loro satellite da ricognizione che era finito fuori controllo, la Cina
e la Russia hanno protestato, accusando gli americani di aver compiuto
quell’operazione solo a scopo sperimentale. Cioè, per verificare se la
loro tecnologia anti- satellite funziona. In effetti ha funzionato. In
caso di guerra, abbattere o semplicemente accecare i satelliti dei
nemici, potrebbe diventare una mossa decisiva.
Marco Nese
23 marzo 2008
Corriere della Sera