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VERSO IL G8 IN ITALIA
Marco Antonio Sodi*
Agosto 2008
Il G8, che allora era il Gruppo dei Sei, nacque a metà degli anni Settanta come
risposta dei maggiori paesi industrializzati al primo choc petrolifero,
l’embargo dell’Opec durante la guerra del Kippur.
Più di trent’anni dopo questo embrione di governo globale si ritrova alla casella
di partenza.
E’ di nuovo alle prese con una gravissima crisi energetica, che propaga il
virus dell’inflazione su tutto il pianeta, senza aver fatto passi in avanti per
ridurre la nostra dipendenza dagli idrocarburi. L’agenda dei temi che hanno
dominato l’ultimo vertice sull’isola di Hokkaido è la fotografia di un
monumentale fallimento. La mancanza di una politica per il risparmio energetico
e la diversificazione delle fonti ci presentano il conto. Negli Stati Uniti la
General Motors è sull’orlo della bancarotta e la sua capitalizzazione di Borsa
è stata superata da una catena di caffè (Starbucks). Il crollo dell’industria
automobilistica nel Paese più motorizzato del mondo è uno dei segnali di
collasso di uno stile di vita e un modello di consumi insostenibile. American
Airlines e United, le due più grandi compagnie aeree, stanno licenziando
migliaia di dipendenti. Insieme con l’era dei Suv tramonta anche il periodo in
cui gli americani prendevano l’aereo come un autobus. Vengono al pettine i nodi
del "ventennio sprecato": a iniziare dalla presidenza di George Bush
padre, l’America ha rinunciato a essere il laboratorio di una nuova modernità,
ha scartato le strade per creare ricchezza senza distruggere le risorse
naturali del pianeta. I risparmi energetici che ci furono dopo lo choc degli
anni Settanta, sono stati annullati dagli anni Novanta a oggi. Nello stesso
momento in cui il petrolio è giunto a 145 dollari a barile, George Bush è
andato a Toyako a sostenere due posizioni inconciliabili. Da una parte è stato contrario
ad allargare in tempi rapidi il G8 per includervi Cina e India. D’altra parte
lui stesso ha ammonito che un’azione seria contro il cambiamento climatico è
impossibile senza coinvolgere Cina e India, i nuovi giganti anche
nell’emissione di Co2. Le potenze asiatiche hanno reagito con fastidio. Con
appena il 4% della popolazione mondiale, gli Stati Uniti continuano a consumare
un quarto di tutto il petrolio. A Pechino, la città con il più alto reddito pro
capite della Repubblica Popolare, gli ingorghi automobilistici sono già una
realtà quotidiana, e tuttavia ci sono solo 3,5 milioni di autovetture per 18
milioni di abitanti. Se avessimo noi questo tasso di motorizzazione privata, le
nostre metropoli sarebbero delle grandi isole pedonali. Cina e India non
accettano di essere additate come i "principali sospetti" per il
terremoto inflazionistico che sconvolge i mercati di tutte le materie prime.
Un
capolavoro d’ipocrisia è andato in scena il primo giorno a Toyako con
l’Africa-Day: la decisione di aprire il G8 discutendo con i Paesi poveri la
crisi alimentare di cui sono le vittime più vulnerabili. Molti Stati africani
hanno classi dirigenti disastrose; non così ingenue, però da non aver colto una
singolare coincidenza: ci siamo improvvisamente ricordati di loro da quando
sono attratti verso la sfera d’influenza del neo-impero cinese. Dal Sudan allo
Zimbabwe, le dittature criminali che fanno notizia sono quelle che hanno
stretto maggiori rapporti economici, politici e militari con Pechino. La lista
di aguzzini dei popoli africani è un po’ più lunga. Si parla meno di quelli che
restano vassalli di Washington, Londra o Parigi. Quando i leader del G8
discutono i terribili effetti del caro-cibo, nella lista delle cause rispuntano
regolarmente i "forsennati" aumenti dei consumi alimentari asiatici.
Guai però a toccare i sussidi per il bioetanolo su cui Obama e McCain si
giocano i voti dei farmers nel Midwest. E’ sparita dall’orizzonte la famigerata
politica agricola comunitaria, quasi che non esistesse più. Invece continua ad
assorbire quasi metà dell’intero bilancio dell’Unione europea. La Pac resta una
politica protezionista con forti effetti distorsivi sui mercati mondiali e i
flussi di approvvigionamento. E’ stata storicamente un ostacolo al decollo economico
africano; una barriera contro l’accesso dei produttori più poveri ai
consumatori europei. "L’uomo della rottura", Nicolas Sarkozy, appena
divenuto presidente ha difeso lo status quo agricolo, una rendita di cui la
Francia è la principale beneficiaria. I leader del G8 sembrano davvero non
capirlo, anche se i numeri parlano da soli: le politiche del G8 sui
biocarburanti rappresentano il 75% del problema, eppure nella dichiarazione
finale i leader li hanno menzionati appena. La Banca Mondiale nel suo
rapporto A Note on rising food prices(8
aprile 2008), diffuso dal
quotidiano inglese The Guardian,
attribuisce il 75% dell’aumento dei prezzi dei cereali alla richiesta di biocarburanti. Intanto i
prezzi del cibo sono cresciuti dell’83% rispetto al 2005 e hanno costretto 100
milioni di persone a vivere con meno di un dollaro il giorno. Tra
i punti principali della dichiarazione vi sono un partenariato globale con le Nazioni
Unite e altre istituzioni internazionali per sostenere i piani a sostegno del cibo e
dell’agricoltura nei paesi in via di sviluppo. Il partenariato prevede anche l’elaborazione di
un’analisi scientifica. Si fa menzione di un’inversione di tendenza
della diminuzione dell’aiuto in agricoltura. Non si fanno però cifre. Seguono
inoltre gli annunci della creazione di un Gruppo di Esperti del G8 per
sostenere il neonato Panel di alto livello per la crisi alimentare delle
Nazioni Unite, dell’assicurazione di compatibilità della produzione sostenibile
di biocarburanti con la sicurezza
alimentare e dell’accelerazione dello sviluppo di biocarburanti di seconda
generazione. I numeri della crisi ci dicono che un Suv
alimentato a etanolo ricavato dal mais potrebbe nutrire una persona per un
anno. Le
popolazioni meno abbienti hanno speso a oggi almeno metà del loro reddito per
acquistare cibo.
Nell’ultimo vertice il tentativo dei leader del G8 di fare marcia
indietro sulle promesse riguardanti l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) ha avuto un
effetto boomerang. A due anni dalla
scadenza prevista nel 2010, i leader del G8 devono ora fornire nuove risorse per un
totale di 50 miliardi di dollari in più l’anno, come si erano impegnati a fare a Gleneagles.
Il mondo prende queste promesse sul serio, anche se i leader del G8 non fanno
lo stesso. 25 miliardi sono spiccioli per gli otto grandi, ma per le
popolazioni dell’Africa possono significare un futuro migliore. Ora grava sull’Italia una
duplice responsabilità: la prima è di dimostrare la propria affidabilità poiché
membro europeo del G8. Dei 50 miliardi di dollari in più l’anno, 40 proviene
dall’Europa. L’Italia
gioca perciò un ruolo decisivo nel mantenere questo impegno. La seconda è di aumentare in modo consistente
l’APS italiano, che dovrebbe arrivare allo 0,51% del PIL entro il 2010, mentre è ora fermo allo 0,19%.
Al G8 della Maddalena, l’anno prossimo, l’Italia sarà chiamata ad assumere la leadership su
entrambi i fronti. E’ stato ripresentato l’impegno preso
a Gleneagles tre anni fa di fornire nuovi aiuti nella misura di 50miliardi di
dollari in più all’anno entro il 2010. Metà di questa cifra è destinata
all’Africa. Non si dice
nulla, però, sui passi da fare per imprimere un’inversione di tendenza al
livello globale degli
aiuti, che stanno scendendo dal 2006. Il comunicato finale diffuso dal G8 specifica
che i 60 miliardi di dollari, promessi a Heiligendamm per le malattie infettive e la
salute, saranno stanziati in un periodo di 5 anni. Distribuiti su quest’arco
temporale, i 60 miliardi di dollari rappresentano, nella migliore delle ipotesi, un aumento minimo
degli attuali aiuti in ambito sanitario, se non addirittura una diminuzione. La
realtà dei fatti ci presenta un altro scenario. Se il trend attuale
degli aiuti rimarrà invariato, i leader del G8 non manterranno le loro promesse e si produrrà un buco
di 30 miliardi di dollari. Questo potrebbe costare la vita a 5 milioni di persone, al ritmo
di 30mila bambini il giorno che muore a causa della povertà estrema. Se si considerano gli
aiuti stanziati dal G8 in termini percentuali, il livello attuale è più basso
di quanto
era negli anni Sessanta.
Nel 2007, gli otto grandi hanno stanziato il 14,1% in meno per lo
sviluppo rispetto al 2006. Gli otto paesi sono riusciti a mobilitare oltre mille miliardi di
dollari per arginare la crisi finanziaria negli ultimi 8 mesi; eppure non riescono a trovare un
ventesimo di quella cifra per mantenere le loro promesse di aiuto.
A questo ritmo, entro il 2050 il pianeta sarà già “bruciato” e i
leader G8 di oggi saranno solo un lontano ricordo. L’appoggio di un modesto
obiettivo sul clima – riduzione delle emissioni del 50% entro il 2050 – ci lascia con
il 50% di probabilità di un disastro climatico. Piuttosto che una novità, l’annuncio
finale dei leader G8 rappresenta un altro esempio di temporeggiamento senza termine,
che non fa nulla per ridurre il rischio affrontato oggi da milioni di persone povere. Attingere le risorse per i
Fondi d’investimento nel Clima amministrati dalla Banca Mondiale dall’Aiuto pubblico allo
Sviluppo (APS), quando i livelli di aiuto globale stanno diminuendo invece di aumentare, è palesemente
ingiusto. Ogni dollaro che è dirottato all’adattamento ai cambiamenti climatici è un
dollaro sottratto ai farmaci essenziali, ai libri di testo e ad altri fattori cruciali di sviluppo. I
punti principali del comunicato sono il dimezzamento delle emissioni di
gas serra entro il 2050, senza però alcuna indicazione dell’anno di riferimento. I 6 miliardi di dollari
promessi per i Fondi d’investimento nel Clima amministrati dalla Banca Mondiale saranno attinti
dall’APS globale mentre non vi è stato nessun accordo su quando le emissioni
raggiungeranno il culmine e quando cominceranno a scendere. Non è stato
stabilito nessun target a medio termine sulla riduzione delle emissioni, ma
soltanto un vago traguardo. Lo
stato attuale del Pianeta ci raccomanda che per evitare conseguenze
catastrofiche, le emissioni globali devono raggiungere il loro picco entro il 2015 per poi ridursi
di almeno l’80% rispetto alla quantità emessa nel 1990 entro il 2050. Nei paesi ricchi inoltre le emissioni
devono ridursi del 25-40% rispetto alla quantità emessa nel 1990 entro il 2020 mentre per
l’adattamento al mutamento climatico dei paesi in via di sviluppo, si stima che
sia necessario tra i 50 e gli 86 miliardi di dollari l’anno. Cina e India hanno guidato l’opposizione dei paesi emergenti alla proposta
degli otto paesi più industrializzati a ridurre del 50% le emissioni nocive
entro il 2050. E, in qualche modo, leggendo i punti del comunicato, gli
emergenti l’hanno spuntata. All’incontro hanno partecipato i leader del G8
(Usa, Russia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Canada, Gb) e quelli di
Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica, Australia, Indonesia e Corea del Sud
per discutere come combattere l’effetto serra. Un "otto più otto",
dunque che, però, sembra aver partorito un "topolino" ambientale. Nella
dichiarazione si è infine sottolineata la volontà di "continuare a
lavorare insieme per rafforzare la convenzione di Bali" e di adottare
successive decisioni alla prossima convenzione di Copenaghen del novembre 2009,
che dovrà disegnare il post – Kyoto. Vedremo.
Altra
caratteristica non meno importante dell’ultimo vertice in Giappone è stata l’assenza
di un padrone di casa. Il governo giapponese è stato un fantasma. Eppure il
Giappone resta una grande potenza tecnologica, all’avanguardia nel risparmio
energetico: è il Paese che consuma meno petrolio in proporzione al suo Pil. Non
a caso è l’invasione della Toyota Prius ibrida in California ad aver segnato la
fine dell’Hummer (il blindato da combattimento con cui le mamme di Beverly
Hills accompagnavano i bimbi a scuola). Per capire le radici della carenza di
leadership nipponica basta osservare che a Toyako i nostri cellulari non
funzionano. Il Giappone è l’unico Paese, con la Corea del Nord e la Birmania,
dove è inutile portarsi un telefonino europeo, americano o cinese. Rimane
pervicacemente protezionista, mantiene mille barriere invisibili contro gli
investimenti stranieri, cioè contro la concorrenza. Nell’attuale crisi di
consenso verso la globalizzazione, la lezione del Sol levante è chiara:
quindici anni di depressione economica sono il bilancio di una mentalità da fortezza
insulare.
L’attenzione
del mondo si sposta adesso sull’Italia, che a gennaio assumerà la presidenza
del G8. Sulla strada che conduce al G8 italiano, saranno tuttavia diversi gli
appuntamenti in cui l’Italia potrà dimostrare la sua volontà. Mantenere gli impegni sottoscritti in varie sedi internazionali,
è un obiettivo a portata di mano. Per rispettare le promesse fatte in sede di Unione Europea, infatti, l’Italia dovrebbe stanziare 6,403 miliardi di euro entro il 2010, pari allo
0,51% del PIL (112 euro per abitante). Meno della metà di quanto gli
italiani spendono in un anno in calzature° (15,338 miliardi di euro, 260 euro per abitante); molto meno di quanto spendiamo per andare dal barbiere e dal parrucchiere (10,
947 miliardi, 185 euro
per abitante); circa un miliardo di euro in meno della spesa annuale in acque minerali, bevande gassate e succhi
di frutta (7,849 miliardi di euro, 127 euro per abitante). In concreto, l’Italia dovrebbe
aumentare l’Aps di 3,932 miliardi
di euro entro il 2010,
avendo stanziato finora 2,471 miliardi di euro, pari allo 0,19% del PIL. Una
cifra di poco superiore a quanto gli italiani spendono ogni anno per acquistare
tessuti e biancheria per le loro case (3.165milioni di euro, 54 euro per
abitante). I prossimi dodici mesi saranno cruciali per capire quale sarà il
reale impegno dei paesi industrializzati nella lotta alla povertà. Con quale
peso politico si presenterà l’Italia al summit ONU sulla povertà, in programma
a settembre, se nella prossima finanziaria confermerà il taglio dei fondi per
la cooperazione allo sviluppo? Sì perché l’Italia ha fatto di nuovo marcia
indietro sull’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS). Con il voto sul Decreto di
programmazione economica e finanziaria (Dpef), la Camera dei deputati e il Senato hanno approvato un
taglio annuale di 170 milioni di euro nel triennio
2009-2011. Ci si augura
invece che il governo stanzi nuovi fondi per rispettare gli impegni e
rilanciare il ruolo dell’Italia nella lotta alla povertà. Spetta all’Italia,
infatti, poiché presidente di turno del G8, dare l’esempio agli altri paesi. Ad
esempio, durante il G8 giapponese, il presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi ha annunciato che l’Italia stanzierà 1,57 miliardi di euro per la salute
globale nell’arco di 5 anni, ma non è ancora chiaro da dove proverrà questa
somma.
° Dati riferiti al 2006, Fonte Confcommercio, Rapporto Consumi, gennaio
2008.
*Formatore alla Nonviolenza