Un deserto chiamato pace

raq – 19.3.2008
Un deserto chiamato pace
Dopo cinque anni di guerra l’Iraq resta diviso e in fiamme
Il
presidente statunitense George W. Bush difenderà oggi la
decisione d’invadere l’Iraq in un discorso al Pentagono in occasione
del quinto anniversario del conflitto. ”È stata una decisione
giusta. Questa è una battaglia che l’America può e deve
vincere”, spiegherà Bush ai generali a stelle e strisce, gli
stessi che non più tardi di una settimana fa hanno diffuso un
rapporto nel quale ammettevano che al-Qaeda in Iraq non c’era sotto
il regime di Saddam, ma vi è arrivata dopo l’invasione Usa.
Secondo le anticipazione diffuse dalla stessa Casa Bianca, Bush
sottolineerà i buoni risultati ottenuti con la strategia del
surge, adottata l’anno scorso, per la quale ”in Iraq siamo
testimoni della prima insurrezione araba su larga scala contro Osama
bin Laden, la sua truce ideologia e la sua rete di terrore”.


bush e al-malikiDiscorsi
e omissioni.
Un riferimento diretto alla migliore idea che abbia
avuto l’amministrazione Usa da quando ha invaso l’Iraq: trattare con
i sunniti e i loro cosiddetti Consigli del Risveglio, milizie tribali
sunnite, che si sono affiancate alle truppe statunitensi nella lotta
ai ribelli integralisti legati ad al-Qaeda.
Anche
il premier iracheno Nuri al Maliki ha aperto ieri i lavori della
Conferenza di riconciliazione nazionale che, per due giorni, riunirà
a Baghdad centinaia di delegati di quasi tutti i gruppi politici
iracheni, parlando della collaborazione con i sunniti. ”Nonostante i
molti progressi politici raggiunti, la strada da percorrere è
ancora lunga, piena di sfide e pericoli”, ha dichiarato il premier
nel suo discorso d’apertura, nel quale ha anche esortato tutte le
forze politiche a sostenere il processo di riconciliazione nazionale.
Nel suo discorso, al Maliki ha inoltre rivendicato la formazione di
29 Consigli popolari sunniti, chiamati sahwa, che si battono
assieme alle forze governative e a quelle statunitensi contro i
guerriglieri e ha affermato che altri 13 consigli dello stesso genere
sono in via di formazione.

Quello
che però non viene detto è che sarebbe bastato pensarci
cinque anni fa, non lasciando il proconsole Paul Bremer III, al quale
venne affidata la gestione del dopo Saddam, liquidare in massa la
classe dirigente sunnita, consegnandola alla disperazione e
all’insurrezione. Non verrà detto, nel discorso di Bush, che
la guerra ha avuto, e continua ad avere, un alto costo di vite umane
e finanziario, ma aggiungerà che tali ”costi sono necessari
se si considera il costo che avrebbe una vittoria strategica dei
nostri nemici in Iraq: ritirarsi significherebbe far precipitare il
Paese nel caos e imbaldanzire i terroristi”. Esattamente quello che
è avvenuto a causa dell’invasione.

La
situazione politica in Iraq, dopo cinque anni di guerra, è ben
rappresentata proprio da questa Conferenza per la Riconciliazione. Il
Fronte della Concordia, principale gruppo parlamentare sunnita, e la
lista laica al-Iraqiya, che fa capo all’ex premier Iyad
Allawi, hanno boicottato l’appuntamento, bollandolo come una
operazione di propaganda a favore del governo. La conferenza fa
seguito all’iniziativa svoltasi, sempre a Baghdad, il 17 dicembre del
2006. Maliki ha preferito, per il momento, glissare sulle assenze e
ha lanciato un monito all’Iran e alla Turchia, esortando ”i paesi
confinanti a non interferire negli affari interni dell’Iraq”.

un miliziano del pkk in azione contro le truppe turcheUn
paese spaccato: i curdi al nord.
Il
primo paese al quale si è riferito, tra le righe, al-Maliki è
senza dubbio la Turchia. Il governo di Ankara, con brevi momenti di
tregua, tiene sotto un’asfissiante pressione armata l’Iraq
settentrionale, la regione curda del Kurdistan, ritenuta dai turchi
la retrovia dei guerriglieri curdi del Pkk che colpiscono in
territorio turco. Aviazione e truppe corazzate, più di una
volta, hanno oltrepassato il confine, portando la guerra nella
regione autonoma del Kurdistan iracheno. Lo stesso presidente della
Repubblica, il curdo Jalal Talabani, ha provato più di una
volta a chiedere che il governo iracheno prendesse una chiara
posizione contro le incursioni turche, ma Baghdad è stata
sempre messa a tacere dagli Usa che tentano di trovare una soluzione
concordata con la Turchia senza arrivare alla rottura diplomatica tra
due paesi che sono tra i pochi alleati affidabili di Washington nella
regione. Sono in molti, però, a sostenere che le azioni del
Pkk siano solo il grimaldello che Ankara ha deciso di utilizzare per
sancire che sulla questione di Kirkuk non si deve decidere senza la
Turchia. Kirkuk, potenzialmente, è uno dei più grandi
giacimenti petroliferi del mondo. La città, con popolazione
mista curda, araba e turcomanna, è contesa. Il piano
originario degli Usa, con ogni probabilità, puntava a ‘dare’
Kirkuk ai sunniti, in quanto sia il nord curdo che il sud sciita sono
già ricchi di petrolio. I curdi, però, in un paese che
mai dalla sua fondazione è stato così diviso, non
accettano questa soluzione e vogliono far valere i loro diritti sulla
città, ‘arabizzata’ a forza da Saddam, e adesso ‘curdizzata’ a
forza dai nuovi padroni.

Il
destino di Kirkuk sarebbe dovuto decidersi con un referenduml,
previsto per dicembre 2007. Le pressioni turche, che guardano con
terrore a un Kurdistan che si arricchisse anche dei giacimenti della
città contesa, sono riuscite a ottenere un rinvio del
referendum a luglio 2008. Ma la situazione resta molto tesa, al punto
che non è stato ancora possibile votare in parlamento il testo
unico della nuova Legge del Petrolio irachena.


moqtada al-sadrUn paese spaccato: gli sciiti al
sud.
Il
secondo paese confinante al quale si riferiva Maliki nel suo discorso
di ieri è l’Iran, che ha un grande potere attrattivo sugli
sciiti che rappresentano il 60 percento della popolazione irachena.
Un successo che gli Usa possono vantare in merito è la fine di
Moqtada. La corrente politica che fa capo al leader
radicale sciita Moqtada Sadr, infatti, ha ritirato la propria
delegazione della conferenza a Baghdad, ma ormai la sua influenza è
al tramonto.
Moqtada al Sadr ha
gettato la spugna. E’ questa la grande novità che, negli
ultimi mesi, ha sancito la fine della breve ma intensa parabola
politica dell’ayatollah radicale vicino all’Iran. E proprio in Iran,
nella città santa di Qom, quella di Khomeini per intenderci,
Moqtada si è ritirato per completare i suoi studi coranici e
diventare davvero un dottore del diritto islamico.

Prima
di partire, però, al-Sadr ha sciolto le milizie del Mahdi, il
suo esercito privato che si era distinto per ferocia nel conflitto
interreligioso che ha contrapposto sciiti e sunniti in Iraq.
"La
presenza degli occupanti", si legge nel sermone preparato da
Moqtada al-Sadr, per la preghiera del venerdì con la quale ha
salutato i suoi seguaci, ”e il fallimento dell’esercito del Mahdi
nel tentativo di liberare l’Iraq, così come la disobbedienza
di molti e il loro deviare dalla retta via mi hanno portato a
isolarmi in segno di protesta. Molti che mi erano vicini si sono
allontanati per ragioni materialistiche o per desiderio di
indipendenza. Altri mi sono ancora fedeli e leali ed è a loro
che mi rivolgerò attraverso l’istruzione e l’insegnamento".

In
agosto al Sadr aveva annunciato la sospensione delle attività
della sua milizia e questo aveva portato a un drastico calo delle
violenze in Iraq. Di recente aveva rinnovato il cessate il fuoco,
affidando all’ostruzionismo parlamentare l’ultimo baluardo di
protesta. L’uscita di scena di Moqtada, almeno per il momento,
sancisce il dominio della corrente sciita che fa riferimento
all’ayatollah al-Sistani, avversa all’Iran e incline al compromesso
con gli Stati Uniti e il governo di al-Maliki.


un fedele ai funerali dell'arcivescovo caldeo di mosulI
cristiani e il centro sunnita.
I
problemi attuali dell’Iraq, però, non sono solo sulla
ridefinizione degli equilibri tra il nord e il sud del paese. Al
centro, infatti, resta una nebulosa indefinita, rappresentata dai
sunniti e dalle altre minoranze che abitano il puzzle di etnie,
religioni, lingue e interessi della regione. I cristiani, per
esempio. La moltitudine di persone che ha
partecipato ai funerali (nella chiesa di Mar Adaa a Karamless,
villaggio cristiano situato una trentina di chilometri a ovest di
Mosul),di monsignor Paulus Faraj Rahho, arcivescovo caldeo, rapito
nei giorni scorsi e rinvenuto cadavere, ha ricordato a tutti che
esistono anche i cristiani in questa terra insanguinata.
Proprio Mosul, secondo quanto
dichiarato dal governo iracheno e dai vertici militari Usa, è
diventato l’ultimo rifugio dei miliziani di al-Qaeda in Iraq.
Scacciati da Falluja, scacciati dalla provincia dell’al-Anbar, i
guerriglieri integralisti si sarebbero rintanati nei pressi della
cittadina mista e, da mesi, si prepara una furiosa operazione
militare nei dintorni d Mosul.
Lo schema sarà quello adottato,
in passato, per Samarra, Falluja e Ramadi. Aviazione Usa e fanteria
irachena, poi fanteria Usa. E tanto, tanto sangue.
Dopo cinque anni, insomma, i problemi
restano tanti e le soluzioni paiono sempre una toppa inserita con
ritardo, dopo che il tappetto è stato calpestato in massa.
Resta un paese diviso tra tensioi religiose, politiche, etniche ed
economiche come non lo era mai stato prima. La fine della dittattura
di Saddam, invece che una festa di liberazione, si è tramutata
nel caos dove, come innumerevoli Fortezze Bastiani, rimangono le
enormi basi militari statunitensi come cattedrali nel deserto.
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13 marzo 2008-UN’ORA CONTRO LA GUERRA


Giovedì 13 marzo

ore 18.00


piazza Beccaria
(lato Borgo la
Croce)


inizia


"UNORA CONTRO LA
GUERRA"

 
 La rete
semprecontrolaguerra, il gruppo Emergency di Firenze, le Donne in Nero di
Firenze, il Partito Umanista di Firenze, Sinistra Critica di Firenze promuovono
un presidio di pace in città, alle ore 18.00, tutti i giovedì, a partire dal 13
marzo e fino al termine dalla campagna

“Firma la legge ferma la guerra”
(giugno 2008)

  • per offrire, a chi lo desidera, la
    possibilità di compiere un concreto gesto di pace e di rifiuto della
    guerra apponendo la propria firma alla proposta di legge di iniziativa
    popolare
    su “trattati internazionali, sulle basi e sulle servitù
    militari”
  • per costruire uno spazio permanente
    di riferimento a quanti vogliano incontrarsi, parlare e diffondere insieme
    l’idea della necessità urgente del disarmo nel nostro paese
  • per fare rete con quanti, uomini,
    donne, gruppi, associazioni coerentemente pacifisti e contro la guerra
    vogliano ancora tenere alta l’attenzione sulla tragedia delle guerre in
    atto, di quelle annunciate dalla corsa al riarmo internazionale e sul
    coinvolgimento attivo dell’Italia nei conflitti
  • per costruire un luogo di libera
    diffusione di materiali che documentino l’impegno di quanti si adoperano
    nel nostro paese e all’estero per raccontare la guerra e produrre
    concretamente una cultura di pace.

La
situazione internazionale e quella italiana spingono i promotori di questa
iniziativa a rilanciare informazione e partecipazione di tutti i cittadini
verso l’opposizione alla guerra in cui anche il nostro paese è direttamente
coinvolto. Oltre la tragedia che si sta consumando in tutto il Medio Oriente,
le folli scelte fatte dalla UE sul Kosovo, il riarmo vorticoso del nostro
paese, l’aumento mai visto prima delle spese militari, lo sviluppo delle sole
aziende italiane coinvolte nella fabbricazione di armi, danno un quadro fosco
del futuro del pianeta. La guerra è ormai tra di noi, anche se non ne abbiamo
la percezione: uomini e materiali partono dalle basi che si trovano sul nostro
territorio, i nostri soldati combattono, uccidono e sono uccisi.

Lo strumento che
gli organizzatori si sono dati adesso è quello di una proposta di legge di
iniziativa popolare
tramite la quale i mezzi principali della guerra (trattati
militari internazionali, basi militari
) saranno riportati ad un controllo
democratico da parte del Parlamento e sottoposti a tutti i vincoli ambientali e
urbanistici previsti per analoghi interventi civili.

Il testo della
legge “su trattati internazionali, sulle basi e sulle servitù militari” è
consultabile su

http://www.mondosenzaguerre.org/
http://nuke.disarmiamoli.org/

info 338 3092948 –
328 0339384 semprecontrolaguerra@tiscali.it


p.s. ci siamo evidentemente ispirati alle esperienze delle DiN e dei Genovesi
per la nostra iniziativa. Ringraziamo entrambi.

 

ecco le foto:

 

 

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Against Wall-a Nonviolent Action

In questo villaggio vicino a Ramallah, il muro erode oltre il 60 per cento delle terre palestinesi. Qui si danno appuntamento cittadini di tutto il mondo ed israeliani contro l’illegalità della sua costruzione

 

di Francesca Marretta
Liberazione, 20 aprile 2007

 

Bil’in,
Ramallah – Sotto la tenda allestita nel cortile della scuola
elementare, ornata da tappeti variopinti ricamati, si sono riuniti per
due giorni palestinesi, israeliani, francesi, americani. La "Seconda
conferenza sulla resistenza popolare" di Bil’in, villaggio di 1400
abitanti situato a 16 chilometri da Ramallah, dove il muro costruito
dallo stato di Israele erode il 60 per cento delle terre, si è conclusa
ieri, mentre oggi è prevista, come avviene da due anni a questa parte,
la manifestazione di protesta contro l’illegalità e l’ingiustizia
rappresentata dalla costruzione di quello che i palestinesi chiamano
"Muro dell’Apartheid" ed il governo israeliano definisce "barriera di
separazione difensiva".

 

Bil’in
è diventato il simbolo della lotta non violenta dei movimenti popolari
di resistenza locale e internazionale contro l’occupazione e contro un
muro che “distrugge il presente ed il futuro del popolo palestinese” e
che “nulla ha a che fare con la sicurezza di Israele, ma con altra
terra da sottrarre ai palestinesi”, come ha affermato in apertura del
lavori della conferenza Naser al Quidua, ex ambasciatore dell’Olp alle
Nazioni Unite, incaricato di presentare il caso davanti alla Corte
Internazionale di giustizia dell’Aja nel 2004. La corte stabilì che “la
costruzione del muro da parte di Israele nei Territori occupati,
compresa Gerusalemme” è “contraria alla diritto internazionale”, di
conseguenza, “Israele ha l’obbligo di smantellare la struttura e
provvedere al risarcimento dei danni causati”. Era il 9 luglio 2004.

 

I
lavori per la costruzione del muro a Bil’in sono iniziati il 20
febbraio 2005. Per la costruzione della barriera di cemento sono stati
sradicati in questo villaggio 1000 alberi di ulivo. Agli abitanti di
Bil’in, privati delle proprie fonti di sostentamento si presentavano
due alternative, vivere da miserabili o emigrare. Decisero invece di
mettere in piedi un comitato di resistenza popolare, che oggi, come
ogni venerdì, organizza una marcia di protesta a cui prendono parte
anche cittadini israeliani e persone di tutto il mondo.

 

Gli
israeliani che da due anni manifestano a fianco degli abitanti di
Bil’in contro la costruzione del muro non sono convinti, a differenza
del governo che in questo caso non li rappresenta, della necessità di
costruire una cortina di difesa 5 chilometri all’interno della Linea
Verde. Né della necessità di separare olivi e colture dai legittimi
proprietari, distruggendone le fonti di sostentamento.

 

Tra
i circa 200 partecipanti alla conferenza, oltre ad internazionali
provenienti da organizzazioni sociali di base, gruppi di volontariato,
Ong, sindacati, registratisi per prendere parte ai workshop sulle
strategie di implementazione di forme di resistenza non violenta, sono
stati presenti intellettuali israeliani come lo scrittore israeliano
Ilan Pappe, la giornalista e scrittrice Amira Hass, Jeff Alper del
comitato contro la demolizione delle case, il ministro della
Comunicazione del governo di unità nazionale palestinese Mustafa
Barghouti e la vicepresidente del Parlamento europeo Luisa Morgantini.
“Quello che da due anni sta avvenendo a Bil’in è esemplare: è la
risposta non violenta che israeliani e palestinesi insieme oppongono
alla confisca della terra, alla demolizione di case, all’umiliazione
dei check-point e alla segregazione del muro, frutto di 40 anni di
occupazione militare israeliana”, ha dichiarato l’europarlamentare
italiana, che ha sottolineato come la resistenza popolare di Bil’in
faccia tornare in mente i giorni della prima Intifada, “quando
non c’erano le bandiere di Hamas e Fatah, ma solo la bandiera
palestinese”. Quarant’anni di occupazione sono abbastanza, ha
dichiarato la Morgantini, convinta della necessità del riconoscimento
del nuovo governo di unità nazionale palestinese da parte della
comunità internazionale, in quanto “opportunità unica” e probabilmente
“l’ultima” via per rilanciare un negoziato di pace tra israeliani e
palestinesi.

 

Il
villaggio di Bil’in è uno dei 92 villaggi della Cisgiordania la cui
esistenza è stata sconvolta dalla costruzione del muro, che, secondo l’anti-Apartheid Wall Campaign,
una volta terminato, ingabbierà in una cortina di cemento estesa per
730 chilometri, 361mila persone, annettendo di fatto il 47 per cento
della West Bank. Questo avviene contemporaneamente all’avvio
degli incontri bisettimanali tra Olmert e Abbas, a cui è affidato
mandato di negoziare la pace, affinché un giorno possano coesistere
l’uno accanto all’altro lo Stato israeliano e quello palestinese, i cui
confini per gli abitanti di Bil’in come degli altri villaggi-bantustan
circondati dal cemento, non possono essere quelli delineati dal muro,
ma unicamente quelli stabiliti dalle risoluzioni internazionali.

 

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GAZA (Reuters)-Israele ai Palestinesi”A rischio Olocausto”

         
                            
         
Escalation di sangue
 
Zvi Schuldiner

L’escalation delle ultime ore parla di
un’offensiva militare israeliana che porta ancora più sangue, con
decine e decine di vittime palestinesi, dicono militanti ma molti sono
i civili. Pagano, tutti, la politica criminale dell’occupazione
israeliana. Ma anche l’avventurismo militare della fazione piu dura di
Hamas. Ora da Damasco Khaled Mashal dice che Hamas è disposta al
cessate il fuoco, ma a Gaza il fuoco e più selvaggio che mai.
Alle
fondamenta di questa tragedia c’è la politica del governo israeliano
basata sullo strangolamento prima del governo di Hamas e poi della
popolazione. Ma anche la risposta di Hamas, la sua tattica, ha
aggravato la situazione. Soprattutto considerando gli attacchi di
missili sulla popolazione israeliana nella regione di Sderot che hanno
causato la morte di uno studente al Sapir College provocando una
reazione d’isteria che ha chiamato in causa lo stesso governo
israeliano. Poi la demagogia dell’opposizione di destra ha fatto il
resto perché il primo ministro Olmert scattasse all’offensiva militare.
Ma
a questo punto l’escalation israeliana ha provocato la risposta più
dura di Hamas che ha colpito con missili la città di Ashkelon. Un
segnale che Hamas forzava militarmente la crisi per riaprire la
trattativa tra i tre attori locali: Egitto, Israele e il governo de Abu
Mazen. Per un accordo di cessate il fuoco che rimettesse in gioco il
ruolo della frontiera egiziana, chiamando in campo l’Europa e
ridimensionando il peso del governo di Abu Mazen. Per questi obiettivi
i duri di Hamas erano disposti anche ad una nuova invasione israeliana
che sarebbe costata ancora molto sangue e un alto prezzo per i civili
palestinesi. Palestinesi e israeliani sono oggi le vittime del gioco di
scacchi gli tra Stati uniti, sempre più attivi con la loro politica di
terrore, Israele e la fazione militare di Hamas. E sfortunatamente il
meccanismo funziona: in modo massiccio forze militari israeliane hanno
iniziato, anche con i bombardamenti aerei, la feroce offensiva su Gaza
seminando morte e distruzione anche tra i civili. E nelle ultime ore
l’esercito israeliano ha confermato la morte di due soldati israeliani:
è un segnale in più che rafforza la logica israeliana della guerra.
Sangue e vendetta, vendetta e sangue, questa pare la regola del gioco.
Il gioco sporco di due leadership criminali che porta alla morte, alla
crescita dell’odio e allontana la possibilità di dialogo.
Ma
attenzione. Non c’e simmetria. La politica demenziale dei
fondamentalisti di Hamas non può, non deve farci dimenticare che la
radice del problema sta nella continuazione della politica
d’occupazione militare di Israele che gioca non solo con il futuro dei
palestinesi ma anche con quello degli israeliani. Senza dimenticare le
responsabilità della comunità internazionale che, mentre alimenta
scenari di guerra in Medio Oriente, annuncia – come ad Annapolis –
processi di pace falsi e sepolti in partenza. Gli stessi che, ora, Abu
Mazen dichiara «sepolti» dalle macerie dei raid aerei israeliani.
 
«Vogliono la guerra, per eliminare Hamas»
 
L’analista israeliano Halper: l’invasione delle truppe di terra sarà un massacro che alimenterà lo scontro Occidente-islam
Di fronte a quest’orribile prospettiva l’Unione europea e gli Usa non stanno muovendo un dito
Michelangelo Cocco

«Uno scontro che, alimentando il fanatismo,
accentuerà la tensione tra Occidente e mondo islamico, e potrà portare
a compimento lo stato di apartheid che la leadership israeliana vuole
realizzare per i palestinesi». Jeff Halper guarda con estrema
preoccupazione al braccio di ferro in atto a Gaza tra Israele e Hamas e
si chiede come sia possibile che l’Unione Europea non cerchi una
mediazione. Analista politico e storico pacifista israeliano, Halper ha
risposto alle domande del manifesto al telefono da Gerusalemme.
Come sono percepiti dall’opinione pubblica israeliana i bombardamenti su Gaza e i massacri di civili palestinesi?
Dal
loro punto di vista tutto ciò è giustificato, perché rientra nella
«guerra al terrorismo». Non hanno alcun contatto col contesto politico,
non vedono che l’obiettivo d’Israele è la distruzione della leadership
politica di Hamas. Non vedono nemmeno l’occupazione. Questa parola
negli ultimi tempi non viene più utilizzata nonostante Israele – dopo
il ritiro delle truppe e dei coloni nel 2005 – occupi ancora Gaza,
perché ne controlla completamente il territorio e le frontiere. In
questo contesto i razzi «Qassam» contro Sderot sembrano missili sparati
senza motivo da terroristi contro la popolazione civile. La gente non
vede che Hamas è un attore politico che da tempo offre una tregua in
cambio della fine dell’assedio alla Striscia.
E i «Qassam» contro Sderot? Cosa sta facendo il governo israeliano per proteggere gli abitanti della cittadina?
La
gente di Sderot è ostaggio di politici irresponsabili che adottano un
approccio solo militare. Il lancio di «Qassam» potrebbe finire domani,
se si fosse d’accordo nel raggiungere una tregua con Hamas. Ma
l’esecutivo presieduto da Olmert sta lavorando in direzione opposta,
per distruggere il regime di Hamas. La leadership politico-militare sta
insomma utilizzando il panico di Sderot per attaccare Gaza.
Quali conseguenze umanitarie dovremmo aspettarci, se si verificasse una massiccia invasione di Gaza da parte dell’esercito?
Con
la «gaffe» fatta l’altro ieri dal viceministro della difesa Vilnay
sulla Shoah contro Gaza, l’ha chiarito lo stesso governo: potranno
essere uccisi centinaia, migliaia di civili innocenti. Israele non fa
più distinzione tra civili e combattenti. Nei mesi scorsi il governo ha
inventato per Gaza l’appellativo di «entità nemica», categoria che non
esiste nel diritto internazionale, proprio per giustificare l’uccisione
di centinaia di civili. Olmert da giorni ripete che al sud c’è «una
guerra», ma non dice che si tratta di un conflitto anche contro la
popolazione civile palestinese.
Cosa teme Israele da un punto di vista militare, dopo la sconfitta nella guerra dei 34 giorni contro Hezbollah dell’estate 2006?
Israele
non fa distinzione tra Hamas, al Qaeda, Hezbollah. Da un punto di vista
della propaganda questo funziona: diranno che attaccano Gaza, perché lì
c’è al Qaeda. Ma Israele deve ristabilire il potere di deterrenza perso
dopo l’ultima guerra in Libano. Per questo motivo deve vincere
militarmente. È per questo che ritengo inevitabile l’invasione. Se non
la mette in atto, la sua immagine subirà un crollo agli occhi sia degli
Stati Uniti sia del mondo islamico. L’attacco dovrà concludersi con
l’eliminazione dell’intera leadership di Hamas e la consegna del potere
nelle mani dell’Anp di Abu Mazen o – ipotesi molto meno probabile – una
rioccupazione della Striscia.
Quali le conseguenze sulla politica di entrambi i campi?
La
cosa incredibile è, anzitutto, che né l’Europa né gli Stati Uniti
stanno muovendo un dito di fronte a questo dramma. Israele può fare
quindi qualsiasi cosa. Le conseguenze per Israele potranno essere solo
positive: il premier Olmert diventerà popolare, perché potrà riuscire a
fermare il lancio di «Qassam» contro Sderot. E i palestinesi resteranno
prigionieri di uno stato di apartheid. Una volta che Hamas sarà
distrutta, la Comunità internazionale, con l’aiuto di Abu Mazen che di
fatto sta collaborando con Israele, sarà in grado d’imporre ai
palestinesi uno stato «bantustan» composto da Gaza e tre, quattro
cantoni in Cisgiordania, senza continuità territoriale.
Ma Hamas ufficialmente offre una tregua, mentre Israele teme la perdita di molti soldati a Gaza. Perché non si fermano?
Lo
spazio di manovra politica per fermarli c’è. Il problema è che la
Comunità internazionale sta dando a Israele mano libera. L’Europa non
obietta nulla agli Usa, è passiva. Il conflitto può ancora essere
risolto, perché finora viene inteso ancora come uno scontro politico,
ma se Israele invaderà Gaza e ucciderà la leadership di Hamas e
centinaia di persone, la guerra verrà spostata su un piano teologico,
tra occidente e islam, che potrà destabilizzare l’intero Medio Oriente.
Di fronte a questa orribile prospettiva che stanno facendo l’Europa e
la Comunità internazionale?
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Call for Day(s) of Action and Mobilisation-January 26th 2008

          

 

Call for Day(s) of Action and Mobilisation-January 26th 2008

We are millions of women and men, organisations, networks, movements, trade unions from all parts of the world,
we come from villages, regions, rural zones, urban centres,
we are of all ages, peoples, cultures, beliefs,
but we are united by the strong conviction that

ANOTHER WORLD IS POSSIBLE!

With all the richness of our plurality and diversity and our
alternatives and proposals, we struggle against neo-liberalism, war,
colonialism, racism and patriarchy which produce violence,
exploitation, exclusion, poverty, hunger and ecological disaster and
deprive people of human rights.

For many years we have been resisting and constructing innovative
processes, new cultures of organization and action from the local to
the global, in particular within the processes and Charter of Principle
of the World Social Forum from which this call emerges.

Aware of the need to set our own agenda and to increase the impact
of these thousands of expressions and manifestations, we are committed
to strengthening the solidarity and convergence amongst our struggles,
campaigns, and constructions of alternatives and alliances.

We commit ourselves to a week of action which will culminate in a Global Day of Mobilisation and Action on January 26, 2008.

With our diversity which is our strength, we invite all men and
women to undertake throughout this week creative actions, activities,
events and convergences focusing on the issues and expressed in the
ways they choose.

ACT TOGETHER FOR ANOTHER WORLD!

Why now, and why January 26th?

The
idea of a global day of action is not new. In the last years, several
attempts tried to set up a day of action which could become a reference
for this new "movement of movements" in analogy with May 1st for the
Labour movement or March 8th for Women’s day.

Since 2001, the Wold Social Forum has become the main space in which one all those movements meet and build alliances.

The World Social Forum is not an event. It is a process,which
lives in the local, national, regional and thematic Forums, in the many
and plural struggles, campaigns, alternatives for another world which
are developing all over the planet.

The decision to hold the next WSF event in 2009,two years after the
last one in Nairobi,helped the idea of a global worldwide mobilisation
to emerge.

The date of 26th of January comes from the choice
to organise the Global Day of Action in the same period of the Davos
summit, to maintain the confrontation with this important neo-liberal
gathering of the elites and let live the spirit of WSF which always
took place at the end of January.

After the Global Day of Action 2008, an evaluation will be done in
order to decide if we move the date for further mobilizations and
events.

Participate… and Find, Join, Present, Prepare, Show, Connect your actions..

  

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Tre giorni europea: presentato il programma

 

                             

news 12 dicembre: <d’ alema :la base:caso chiuso!>

http://www.altravicenza.org/images/stories/stampa_locale/IlVicenza121207p2122.pdf 

http://www.altravicenza.org/index.php?option=com_content&task=view&id=570&Itemid=1

 
Tre giorni europea: presentato il programma
 

Tre giorni di mobilitazione in cui la città sarà non una ribalta teatrale, bensì la protagonista.
Tre giorni di mobilitazione in cui la città sarà non una ribalta teatrale, bensì la protagonista.

Il 14 dicembre si discuterà di Europa, militarizzazione, movimenti
contro le servitù militari. La prima iniziativa della tre giorni di
mobilitazione europea, infatti, sarà il convegno ospitato al Presidio
Permanente alle 20.30 dal titolo “Panoramica sulla presenza militare
USA e NATO in Europa e sui movimenti che si oppongono all’espansione
militare”.

Tra i molti relatori internazionali, Josef Hala (Sindaco di Jince,
Repubblica Ceca), sindaco che difende la propria comunità dalla
realizzazione dello scudo spaziale.

Al tendone di Ponte Marchese è attesa anche,Desiree Fairooz, la donna
che poche settimane contestò platealmente Condoleezza Rice al
Congresso, bloccandola con le mani sporche di pittura color sangue e
gridandole “criminale di guerra”.

Domenica 16 dicembre, invece, sarà la volta di workshop e assemblee monotematiche sui temi della guerra e dei beni comuni.

Ma la tre giorni europea non è soltanto mobilitazione, ma anche cultura
e spettacoli per la città. Si inizia giovedì 13 dicembre con un
aperitivo alle 19.00 e la presenza di Adriano Marcolini e reading da
“Riflessi” (sui desaparecidos) e “Libertad” (poesie sul sud America);
venerdì 14 dicembre, alle 17.00, la Libreria Traverso ospiterà un
incontro con Ennio Sartori dal titolo “Passaggi a Nordest”, mentre alle
19.00 al bar Astra si terrà un aperitivo musicale. Sabato 15 dicembre,
al termine del corteo, si esibirà il gruppo teatrale delle donne del
Presidio Permanente, mentre in serata al tendone di Ponte Marchese si
terrà l’happening con alcuni gruppi musicali. Domenica 16 dicembre,
dalle 11.00 alle 13.00, al Presidio Permanente si terrà “Spazio Donna”:
reading di poesia “Pensieri di pace durante un’incursione aerea” di
V.Woolf e dibattito con Monica Lanfranco. A chiudere la tre giorni
europea il teatro della Compagnia Abracalam e di Roberto Caruso con
“Disarmati fino ai denti”.

Anche il mondo cattolico sarà protagonista della tre giorni, con una
serie di iniziative che si terranno nella giornata di Venerdì 14
dicembre presso la Chiesa di S. Carlo a Villaggio del Sole con
l’introduzione di Don Dario Vivian. Il programma, che punta a
promuovere una dimensione interreligiosa, prevede alle 18.00 un momento
di confronto e ascolto, alle 19.30 un momento di ascolto e preghiera,
alle 20.30 e fino alle 24.00 un momento di preghiera e silenzio.

Presidio Permanente, Vicenza, 11 dicembre 2007 

 

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NO DAL MOLIN’: COERENZA DA SINISTRA, STOP A BASE USA

 

l’ arrivo..e accogliamo gli arcobaleni..sono 6 i pullman da vicenza..

 

 siamo dentro.  e cinzia parla davvero a nome di tutte/i..

  

 Ci siamo ripresi ciò che è nostro ,il diritto di parola e di dissenso..

                                 

 

ARCOBALENO/ ‘NO DAL MOLIN’: COERENZA DA SINISTRA, STOP A BASE USA

Cinzia Bottenè da palco Fiera: voi responsabili di atti Governo


Roma, 9 dic. (Apcom) – E’ un appello alla responsabilità dei
partiti della sinistra dell’Unione quello che Cinzia Bottenè
lancia dal palco dell’assemblea della Sinistra Arcobaleno a nome
dei comitati ‘No Dal Molin’, dopo la pacifica e rumorosa
invasione che ha interrotto i lavori della convention alla Fiera
di Roma.

"Voi non siete all’opposizione – ricorda l’esponente pacifista
vicentina – e dal punto di vista politico e morale vi assumete la
responsabilità di ogni atto del Governo".

I comitati contrari al raddoppio della base militare
statunitense chiedono alla sinistra di Governo di imporre la
moratoria dei lavori, almeno in attesa della valutazione di
impatto ambientale. "Non ci riconosciamo in un Governo che
deliberatamente sacrifica una città e i cittadini italiani –
aggiunge Bottenè – e a voi che avete i colori della pace nel
vostro simbolo chiediamo coerenza".

 

Comunicato Stampa Rete Semprecontrolaguerra: <<Anche noi agli Stati
Generali ma per battere le pentole>>

FIRENZE, 8 dicembre 2007

Una delegazione della Rete di Semprecontrolaguerra sarà a Roma a fianco
del Presidio Permanente che manifesterà Domenica 9 alla Convention
organizzata da PRC, PdCI, Verdi e SD.

"Ci saremo anche noi con pentole e tamburi perché le promesse che ci
hanno fatto devono essere mantenute", ovvero la moratoria sui lavori al
Dal Molin – che ben 170 parlamentari della sinistra radicale avevano
promesso nel giugno scorso alla comunità Vicentina e al popolo che li ha
eletti -sia realtà entro il 15 dicembre, giornata in cui Vicenza sarà
attraversata da un grande corteo.

Il Presidente della Camera Bertinotti sostiene in questi giorni che
«questo Governo ha fallito»,tuttavia se la moratoria non sarà posta
subito come discriminante al Governo, hanno fallito anche coloro che
impugnano la bandiera del No Dal Molin per limitarsi alle dichiarazioni
di principio.

La lettera dei ministri della Sinistra arcobaleno recapitata ieri a
Prodi, che lo invita ad un ripensamento sulla base militare anche alla
luce dell’ordine del giorno che impegna il governo ad organizzare entro
i primi sei mesi del 2008 una Conferenza nazionale sulle Servitù
militari, le interrogazioni presentate in Parlamento in merito alla
realizzazione della nuova base Usa non sono più sufficienti; chi si
dichiara di essere al fianco del movimento vicentino deve portare
all’interno delle istituzioni fatti concreti che possano riaprire il
dibattito politico sulla questione.

La moratoria deve essere attuata subito!

Se non vi sarà una presa di posizione chiara in questo senso, invitiamo
come ha proposto il Presidio Permanente ministri e sottosegretari della
Sinistra arcobaleno , a non partecipare alla manifestazione a Vicenza.

FIRENZE, 8 dicembre 2007

Cordiali saluti,

La Rete SEMPRECONTROLAGUERRA

 

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MANIFESTAZIONE EUROPEA IL 15 DICEMBRE A VICENZA CONTRO LA COSTRUZIONE DELLA NUOVA BASE USA

 

 

Dopo le manifestazioni e  il 4 giorno dei blocchi dei lavori ,effettuato dalle donne del PRESIDIO,  a danno dell’ ABC di Firenze il 25 novembre

                                           
 …

   

 

 a Firenze continua l’ azione in solidarietà della lotta No dal molin:già 400 prenotazioni per i pullman per la manifestazione europea del 15 dicembre..

e azioni itineranti in città VERSO IL 15 DICEMBRE 

MANIFESTAZIONE EUROPEA IL 15 DICEMBRE A VICENZA CONTRO LA COSTRUZIONE
DELLA NUOVA BASE USA

PER UN FUTURO SENZA BASI DI GUERRA.

Il Comitato di Firenze per il 15 dicembre aderisce alla manifestazione
europea di Vicenza promossa dal Presidio Permanente contro la
costruzione della nuova base Usa.

Il Comitato organizza dei pullman per garantire a tutti la massima
partecipazione.

Il costo indicativo è 15 euro.

Partenza pullman da Firenze Saschall ore 8,30

Partenza da Novoli -mercato ortofrutticolo ore 9,00

Prenotazioni Pullman:

Prc Firenze 055/ 2345771

Studenti di Sinistra: 320/0974081 giov.silv@inwind.it

Socialismo Rivoluzionario: 055/ 2302015

Fermiamo la Guerra: massimotorelli@yahoo.it

organizza il:

Il Comitato di Firenze per il 15 dicembre —- Per contatti e info:
328/0339384

Il testo dell’ Appello che indice la manifestazione è :

Da Vicenza all’Europa

14, 15, 16 dicembre:

3 giorni di mobilitazione europea a Vicenza

Da oltre un anno, uomini e donne della città di Vicenza stanno lottando
contro la costruzione di una nuova, immensa struttura militare
statunitense, che non vogliamo sia costruita né nella nostra città nè
altrove. Una lotta che vede accomunate persone di diversi orientamenti
politici, con culture, linguaggi e storie diverse tra loro. Questa
battaglia affonda le proprie radici nella difesa della terra e nel no
determinato alla guerra, fonte di lutti e tragedie, nella richiesta di
pace. La politica “ufficiale” ha mostrato, in tutta questa vicenda, il
peggio di sé, tentando d’imporre una scelta del genere ad una comunità
fortemente contraria. Senza alcuna differenza, i governi italiani di
centrodestra e centrosinistra hanno deciso di passare sopra le teste dei
cittadini.

Difesa dei beni comuni e del territorio, no alla guerra e nuove forme di
democrazia e partecipazione ai processi decisionali, piena autonomia
rispetto alla “politica”: questi sono stati, per noi del Presidio
Permanente contro il Dal Molin, i punti cardinali per mantenere la rotta
dentro questa vicenda. Insieme a molti altri uomini e donne di tutta
Italia, abbiamo dato vita a manifestazioni imponenti, a cui hanno
partecipato centinaia di migliaia di persone. Eravamo partiti dai nostri
quartieri, nel silenzio, con poche forze, siamo riusciti a portare la
contraddizione sul piano nazionale. Abbiamo appena concluso un festival,
a cui hanno partecipato almeno 30.000 persone, per rilanciare la nostra
lotta contro questo progetto di guerra. Siamo convinti che si debba però
andare oltre, che anche questi stretti confini vadano superati. Abbiamo
conosciuto, in questo nostro percorso, realtà in tutta europa molto
simili alla nostra. Abbiamo incrociato forme di resistenza e di difesa
dei beni comuni, del territorio e delle risorse naturali, così come
comitati, associazioni e movimenti che lottano come noi per impedire
l’installazione di nuove strutture militari funzionali alla guerra
permanente e contro un folle processo di riarmo, e con tutte queste
esperienze abbiamo condiviso l’assoluta mancanza di democrazia nei
processi decisionali. Come un copione unico, abbiamo sentito le storie
di chi, da Venezia con il Mose alla Val di Susa con l’Alta Velocità, da
Napoli con i rifiuti a Cameri con la costruzione degli F-35, dalla
Repubblica Ceca alla Germania, dall’Olanda a Heathrow, da Varsavia a
Londra, ha impattato con un potere che si allontana sempre più dai
bisogni e dalle volontà dei cittadini, imponendo dall’alto scelte non
condivise.

Ora vogliamo superare nuovi confini. Siamo convinti che oggi sia
possibile costruire uno spazio comune dei movimenti che, nelle loro
differenze e peculiarità, portano avanti istanze di democrazia reale.
Non vogliamo proporre forme di sintesi o semplificazione, non vogliamo
costruire un movimento europeo che annulli le specificità di ognuno. Al
contrario, vogliamo ragionare sulla costruzione di una rete in grado di
far risaltare la ricchezza di questi movimenti. Per quel che ci riguarda
abbiamo sempre preferito lavorare per allargare la partecipazione, per
costruire spazi d’inclusione.

Siamo convinti che oggi l’Europa possa essere, allo stesso tempo, uno
spazio attraversabile da queste istanze e una dimensione praticabile dai
movimenti, nella loro autonomia, per produrre risultati effettivi, per
misurare nel concreto la forza delle lotte. Abbiamo indetto, come
Presidio Permanente contro il Dal Molin, un’iniziativa europea nei
giorni 14, 15 e 16 dicembre, a Vicenza, con una grande manifestazione
dei cittadini europei sabato 15 dicembre contro il progetto Dal Molin.
Vogliamo, in quei giorni, far convivere queste complessità, metterle in
relazione, con momenti di discussione e iniziative sul terreno della
pace e del no alla guerra, della difesa del territorio e dei beni
comuni, per ripensare assieme alle forme di partecipazione di fronte
alla crisi della democrazia rappresentativa, sempre più autoreferenziale
e lontana dai bisogni e dalle istanze dei cittadini.

Presidio Permanente contro la costruzione della nuova base Usa a Vicenza.

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il vicenza 16 novembre

no dal molinTrasferta a Firenze e Pozzuoli

Liberazione, 16 novembre 2007
La bonifica del Dal Molin è ricominciata e non si fermano le iniziative
di quanti vogliono impedire la realizzazione della nuova base Usa a
Vicenza. Lo afferma il comitato «No Dal Molin» annunciando che «le sedi
delle due ditte che si occupano della bonifica a Firenze e Pozzuoli
sono state presidiate dai movimenti fiorentini e napoletani che
appoggiano la lotta del movimento vicentino».
La
bonifica, viene rilevato, è funzionale «ai progetti statunitensi, ed è
per questo che continueremo a mettere in campo iniziative di blocco e
di boicottaggio dei lavori e delle aziende coinvolte». Durante il
presidio di fronte all’ABC di Firenze, sostiene il comitato, sarebbe
emerso «che la ditta del sig. Mela non avrebbe ancora ricominciato i
lavori: dunque, la bonifica del Dal Molin, attualmente, proseguirebbe a
ritmi dimezzati per l’assenza di gran parte degli addetti». «Nei
prossimi giorni – viene annunciato – costruiremo, insieme, nuove
iniziative, mentre il 15 dicembre, giornata di mobilitazione europea,
sfileremo insieme per le strade di Vicenza».
A Firenze la
manifestazione è stata indetta dalla rete «Semprecontrolaguerra» per
chiedere la rescissione del contratto dell’azienda fiorentina con il
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. I manifestanti, utilizzando
dei nastri di quelli utilizzati per i cantieri, hanno perimetrato
simbolicamente i cancelli della sede dell’azienda. Due gli striscioni
esposti, «Abc della guerra» e «No Dal Molin».

 

ll VICENZA 16 NOV

La giornata di ieri ha visto
anche diverse mobilitazioni in
tutta Italia, in appoggio al movimento
no Dal Molin; in particolare
diverse sigle della società
civile e il sindacato di base
hanno presidiato le sedi delle
due ditte che stanno eseguendo
i lavori di bonifica nell’aeroporto
vicentino, la ABC di Firenze e
la Strago di Pozzuoli, in provincia
di Napoli. Di fronte ai manifestanti,
il titolare della ditta
toscana, Gianfranco Mele, ha ribadito
il temporaneo ritiro delle
sue maestranze dal cantiere
berico, mentre Morici, pur ricevendo
una delegazione di pacifisti,
ha ribadito la sua ferma intenzione
di rispettare il contratto
con la Setaf. La rete Lilliput
ha lanciato un boicottaggio pacifico
dell’impresa napoletana:
intasare i centralini e la mail
della Strago.

IL VICENZA 15 NOV 2007
Dal Molin. Nelle due città manifestazioni davanti alle sedi delle due
ditte appaltatrici dei lavori
La “santa alleanza” anti bonifica
Presidi anche a Napoli e Firenze
 Vicenzaraccoglie
l’appello:«Dalle prime
ore del mattino Rete
Lilliput in viale Ferrarin»

Vicenza

Napoli chiama Vicenza, il
capoluogo berico risponde e – a
metà strada – anche Firenze raccoglie
l’appello.
Tre  Picchettagg in altrettante
città per contestare le ditte
che si stanno occupando della
bonifica nell’area Dal Molin, e
convincerle a tornare sui loro
passi. A Pozzuoli, davanti alla
sede della Strago Srl, gli esponenti
locali di Rete Lilliput, del
Comitato per la Pace il Disarmo
e di altre trenta associazioni
esporranno manifesti con la
scritta A Napoli come Vicenza
Saragrave;  una manifestazione pacifica
– conferma l’organizzatrice
del presidio Angelica Romano –
Il no al Dal Molin è un appello
che riguarda tutta l’Italianbsp; in
Campania lottiamo da anni
contro la forte presenza militare
Usa nella nostra regione, ci
sentiamo partecipi di questa
battaglia. Il presidio, che avrà
inizio alle ore 14, sarà anticipato
da un’altra iniziativa di solidarietà  ai No base vicentini. A Firenze,
infatti, alle 12 i rappresentanti
della Rete Semprecontrolaguerra
metteranno in sicurezza
 la sede dell’Abc Sas
Circonderemo l’edificio con
delle reti da lavoro – spiega Marco
Sodi – Anche se gli operai dell’azienda
toscana non hanno
ancora ripreso i lavori a Vicenza,
lo stesso titolare ci ha confermato
che tuttavia non ha intenzione
di abbandonare l’appalto.
Per questo abbiamo deciso
di continuare a lottare,
finchè non cambierà idea.
Il
gemellaggio prenderà il via nelle
prime ore del mattino proprio
a Vicenza, in viale Ferrarin. Qui
si riuniranno i rappresentanti
dell’associazione Rete Lilliput,
che rimarranno in costante
contatto con i presidi di Napoli e
Firenze.Quello rivolto alle
aziende che si stanno occupando
della bonifica bellica è un
suggerimento – spiega il responsabile
Filippo Magnaguagno –
Devono rinunciare a collaborare
con chi vuole la base, il loro
lavoro è deleterio e finalizzato
alla successiva installazione militare
sul nostro territorio

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COMUNICATO:RINIZIATI I LAVORI AL DAL MOLIN

2007-11-14

14:22:29

COMUNICATO STAMPA RETE SEMPRECONTROLAGUERRA: 
RINIZIATI I LAVORI DI BONIFICA AL DAL MOLIN

ABC E STRAGO RESCINDANO IL
CONTRATTO CON GLI STATI UNITI.

FIRENZE 14 NOVEMBRE 2007

GIOVEDI 15 NOVEMBRE, ORE 12 GIORNATA DI AZIONI DI PROTESTA A FIRENZE E
NAPOLI PRESSO LE SEDI DELLE AZIENDE COMMISSIONATE.

SONO RIPRESI MARTEDI MATTINA I LAVORI DI BONIFICA MILITARE ALL’
AEREOPORTO DI VICENZA.

IN SEGUITO ALL’ INCONTRO AVUTO CON L’ IMPRENDITORE MELA, TITOLARE DELLA
DITTA ABC, CHE CI HA DETTO E SCRITTO IN RISPOSTA ALLA LETTERA DEL
PRESIDIO DI VICENZA DI NON SENTIRSI "COMPLICE" DI QUANTO VERRA’
REALIZZATO SUI TERRENI BONIFICATI E CHE LA SUA IMPRESA HA IL
DIRITTO/DOVERE DI FAR LAVORARE I PROPRI DIPENDENTI E DI RISPETTARE GLI
IMPEGNI PRESI ED I CONTRATTI SOTTOSCRITTI”, CREDIAMO NECESSARIO ED
INDEROGABILE TORNARE A MANIFESTARE I NOSTRI NO :

NO ALLA COSTRUZIONE DI UNA NUOVA BASE MILITARE USA IN ITALIA (OLTRE ALLE
113 BASI USA GIA’ PRESENTI)

NO ALL’INDOTTO DELLE AZIENDE, COOPERATIVE, INDUSTRIE CHE IN TOSCANA COME
IN ITALIA PREPARANO LA REALIZZAZIONE DELLA NUOVA BASE USA A VICENZA.

NON SI PUO’ ACCETTARE CHE SI BONIFICHI UN TERRENO DA ORDIGNI BELLICI PER
POI COTRUIRCI SOPRA UN ALTRA BASE MILITARE.

DOPO LE MOBILITAZIONI A FIRENZE DELLA SCORSA SETTIMANA IN CONTEMPORANEA
AI BLOCCHI DEL PRESIDIO PERMANENTE A VICENZA, LANCIAMO PER GIOVEDI 15 A
FIRENZE UN AZIONE DI DISOBBEDIENZA CIVILE PRESSO LA SEDE DELLA DITTA ABC.

GLI " OPERAI DEL BENE COMUNE" , SPECIALIZZATI IN QUESTE OPERE
,METTERANNO IN ATTO UN AZIONE DI MESSA IN SICUREZZA DELLA SEDE DELLA
DITTA PERIMETRANDO I CANCELLI CON DELLE RETI DA CANTIERE :IL LAVORO
SARA’ SVOLTO IN MANIERA PACIFICA MA DETERMINATA, NEL RISPETTO DEI LUOGO
E DELLE PERSONE CHE SARANNO PRESENTI.

METTEREMO IN PRATICA L’ IDEA CHE LA GUERRA E’ VOLUTA SOPRATTUTTO DALLE
LOBBY ECONOMICHE E DI POTERE FORTI DI CUI FANNO PARTE QUELLE IMPRESE CHE
SILENZIOSAMENTE ACCETTANO COMMESSE MULTI MILIONARIE PER DEI LAVORI
PROPEDEUTICI A NUOVE BASI, NUOVI ESERCITI,NUOVE ARMI E NUOVE GUERRE NEL
MONDO.

TERREMO UNA CONFERENZA STAMPA IL GIORNO 15 ALLE ORE 12,00 DAVANTI I
CANCELLI DELLA SEDE DELL’ ABC ,PIAZZA DONATELLO,DAVANTI CIVICO NUM 4.

RETE SEMPRECONTROLAGUERRA, FIRENZE, 14 NOVEMBRE 2007

Cordiali saluti,

La Rete SEMPRECONTROLAGUERRA

Per informazioni e comunicazioni: semprecontrolaguerra@tiscali.it web :
www.firenzenowar2.noblogs.org

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